Storia di un abuso istituzionale continuato
Odissea di una bambina privata della madre
Una giovane donna francese si è trasferita a Menton presso un’amica per svolgere un nuovo lavoro sulla Costa Azzurra. Durante una serata in discoteca, incontra un attraente giovane italiano. Nasce, fra loro, una simpatia che ben presto si trasformerà in qualcosa di più impegnativo. Lei ha trent’anni e lui è di un anno più grande. Convenzionalmente li chiameremo Lucia e Luca.
La donna, dopo alcuni mesi, rimane incinta e il fidanzato la convince ad abortire. Lucia, rientrata a casa dopo l’intervento, nella notte accusa atroci dolori al basso ventre e, vivendo da sola, chiama il fidanzato per essere accompagnata nuovamente in ospedale, non potendo contattare il medico di famiglia. Luca si rifiuta di aiutarla e nelle ore successive non si preoccupa nemmeno di accertarsi sul suo stato di salute.
Il lunedì mattina, Lucia viene visitata dal medico di famiglia che la fa immediatamente ricoverare in ospedale per un delicato intervento a seguito del mal riuscito aborto. Alla signora viene detto che diventerà sterile in caso di altri aborti. Lucia, a causa dell’indifferenza di Luca, interrompe la relazione con lui che, dopo alcuni mesi, si rifà vivo per riprendere la relazione.
Lei, sebbene titubante, gli concede di nuovo fiducia. Si frequentano con assiduità e dopo alcuni mesi Lucia rimane nuovamente incinta, nonostante l’uso di anticoncezionali. Luca diviene nervoso, la maltratta e pretende ad ogni costo che faccia nuovamente ricorso all’aborto ma, dinnanzi al suo fermo rifiuto, incomincia a minacciarla, ad insultarla e perfino a picchiarla. Passati i tre mesi, Luca pretende che lei si rechi con lui in Inghilterra dove, a suo dire, sarebbe possibile abortire fino al quinto mese. Lucia avvicinandosi la data del parto, teme sempre più per la sua incolumità, visto che sente il suo campanello suonare a tutte le ore della notte e che Luca la minacciava dicendole che le aprirà la pancia per fare uscire il bambino.
Lucia rinuncia al lavoro, si reca in Comune per fare il riconoscimento di maternità prima della nascita, così che la bambina acquisirà il suo cognome e il successivo riconoscimento del padre potrà avvenire solo se da lei autorizzato e, comunque, il cognome di Luca sarà aggiunto a quello materno. Su consiglio del medico, si trasferisce presso i propri genitori, a mille km. di distanza dalla cittadina della costa azzurra, dove dà alla luce una bella bimbetta.
La madre di Lucia avvisa il padre del lieto evento, il quale dopo cinque giorni si reca in ospedale, non chiedendo di vedere la figlia, come sarebbe logico, ma ripetendo con insistenza a Lucia che, nonostante non l’abbia mai voluta, è disposto a riconoscere la figlia e che in futuro non vorrà avere alcun rapporto con la madre. Il riconoscimento avviene con ritardo.
La bambina, Giulia (nome di fantasia), ben presto manifesta dei problemi fisici e nei mesi successivi viene ricoverata in ospedale. Luca, dopo alcuni giorni, si reca a trovarla e convince Lucia a trasferirsi con la bambina nel paese ligure dove vivono i suoi genitori o meglio sua madre, avendo egli interrotto qualsiasi rapporto con il padre, le sorelle e i cognati, oltre ai nipoti. La sua famiglia, proveniente da una temuta regione del Sud, vive da molti anni in Liguria e nel paese ligure vivono anche alcuni suoi parenti legati alla malavita organizzata; sua madre è parente di una nota e chiacchierata “santona” alla quale, dopo la morte, è stato costruito un grandioso santuario con soldi di indubbia provenienza, così come è stato sostenuto nella stampa indipendente. Lucia, preoccupata di garantire alla figlia la presenza del padre e fiduciosa nel fatto che i rapporti tra loro si possano rinsaldare, acconsente a trasferirsi sulla riviera ligure confinante con la Francia, anche se ella non conosce affatto la lingua italiana.
Luca prende una casa in affitto, acquista un negozio (intestandolo a suo nome facendo, però, pagare il mutuo alla compagna!) per adibirlo ad atelier di sartoria, essendo Lucia esperta nel settore dell’abbigliamento. L’affitto della casa, la gestione della stessa e le spese per il vitto sono pagati da Lucia perché lui, a suo dire, mette da parte tutti i guadagni che gli provengono da una attività imprenditoriale e commerciale floreale, per costruire una casa per la famiglia su terreni suoi. Mai fatto!
Con il pretesto di dover regolarizzare la residenza in Italia di madre e figlia, Luca accompagna Lucia all’anagrafe facendole firmare, con inganno, il consenso a far premettere il proprio cognome a quello materno della figlia. Lucia, il cui cognome discende da un antico e nobile casato di Firenze, mai consentirebbe. Lei firma perché, non dubitando del compagno e non conoscendo la lingua italiana, pensa di firmare solo una richiesta di residenza. La dipendente comunale, che sicuramente parla bene il francese, pur constata la delicatezza della pratica e vedendo che la signora non conosce la lingua italiana, stranamente non le spiega cosa stia firmando.
Lucia non è accettata dalla “suocera” (che parla quasi esclusivamente il dialetto calabrese e che vuole gestire lei la nipote arrivando a non permetterle nemmeno di prenderla in braccio), dal clan familiare delle sorelle e dei rispettivi mariti, perché Lucia è una straniera, ha rifiutato di abortire e perché è troppo bella e disinvolta. Trascorre tutto il suo tempo a lavorare ed accudire la casa; quando l’atelier è chiuso viene portata a lavorare nelle coltivazioni floreali, assieme ai dipendenti del compagno.
Luca non si interessa della figlia, dedica gran parte del suo tempo alla palestra, alle escursioni – anche per l’intera giornata – in moto e in bici, alla frequentazione di bar e ritrovi. Trascura la compagna, la sera la maltratta e non disdegna il ricorso alle mani, minacciandola che la ridurrà in carrozzella se non farà tutto quello che vogliono lui e sua madre, da cui è psico-dipendente, come scriverà una Ctu.
Gli stessi vicini di casa conoscono bene la situazione, ma hanno paura di parlare, perché la famiglia è temuta e perché, in città, c’è un clima di terrore ed esistono strani collegamenti tra politica e malavita, tanto che a causa di questi intrecci il consiglio comunale berrà sciolto per infiltrazioni mafiose.
Il padre denuncia la madre per il rapimento della figlia
Una domenica a mezzogiorno, rientrando dalla solita escursione vacanziera con la moto, Luca, con tono arrogante, comunica a Lucia che il giorno successivo riconsegnerà l’appartamento dove vivono, che lei deve immediatamente ritornare in Francia senza figlia, perché lui non vuole più vederla e si trasferirà da sua madre con Giulia.
Lucia parla con Luca e con i suoi familiari chiedendo spiegazioni ma trova un muro dinnanzi a sé. Propone, allora, di pensarci su e lei, come già preventivato, intende trascorrere due settimane di ferie dai suoi genitori, dove Giulia – che ha due anni e mezzo - conoscerà i nonni materni, gli zii e i cuginetti. Al rientro, se lui persevererà nella sua decisione, lei chiuderà l’attività artigianale e si trasferirà in Francia con la bambina a lei molto legata, essendo il padre di fatto un estraneo per la propria figlia. Tutti - a parole - dicono di essere d’accordo con la proposta e Lucia con la figlia viene accompagnata alla stazione dal proprietario dell’abitazione, poiché Luca e i suoi parenti si rifiutano di farlo.
Appena partita - era la fine di luglio 2005 - Luca denuncia immediatamente la compagna alle autorità italiane e francesi per abbandono della casa familiare e per sottrazione della minore con l’intento di espatriare in Africa, dove Lucia è nata – essendo suo padre ingegnere alle dipendenze di una ditta francese - e dove vive una sua sorella. Al processo, che è tenuto in Francia (dove Lucia si trova in vacanza a casa dei propri genitori), Luca, accompagnato dal cognato poliziotto, sostiene, senza portare alcuna prova, che la signora è stata vista all’aeroporto per espatriare con la figlia. Una vera e propria menzogna ad arte costruita per “incantare” il giudice.
La gendarmeria francese di Bourges, quando notifica a Lucia la denuncia del suo compagno che asserisce di non sapere dove si trovi sua figlia e di non aver più alcun contatto telefonico con lei (asserzioni queste sconfessate dai tabulati telefonici presentati al processo, ma da nessuno mai presi in considerazione), gli comunica la data del processo presso il Tribunale di Bourges di lì a pochi giorni, le consiglia di non rientrare immediatamente in Italia, perché rischierebbe l’arresto e di aspettare prima l’esito del processo. Sono i giorni di Ferragosto, la signora si trova in difficoltà per avere un legale esperto di diritto minorile ed è costretta ad affidarsi a quello disponibile.
Durante il processo, a cui partecipano Luca, suo cognato e sua sorella, la legale di Luca sostiene con forza le sue tesi accusatorie.
Il giudice – in un clima surreale e senza alcuna indagine psicologica - concorda con Luca che la bambina ha subito gravi danni psicologici (!?!), perché è stata sottratta al padre (per venti giorni, dovendo aspettare il processo!), che non ha avuto contatti con lei e che la madre avrebbe tentato di fuggire in Africa.
Giulia, di appena due anni e mezzo, non vuole andare con il padre e gli zii, urla, si dibatte e supplica tutti di farla restare solo con la madre.
Dinnanzi a questo assurdo comportamento del tribunale francese, che toglie una figlia di appena due anni alla madre, nasce spontanea una domanda: cosa dovrebbe succedere quando un genitore lavora lontano da casa e vede i figli solo raramente o quando un genitore porta in vacanza da solo i figli e si assenta dalla casa familiare per varie settimane?
|