Lunedì 27 Agosto 2018 09:08 |
Studio Cataldi 11.8.2018
Affido condiviso:
la riforma al Senato contraddice le linee-guida di Brindisi
avv. Mariella Fanuli*
Il gruppo di lavoro di Brindisi, tramite uno dei suoi membri, prende nettamente le distanze dalla proposta depositata al Senato, in nome dei diritti indisponibili dei figli
Ho seguito con interesse, prima in rete, poi sui siti ufficiali, lo svolgersi del dibattito intorno alla re-scrittura delle norme sull'affidamento condiviso, avendo fatto parte, come avvocato e mediatrice famigliare, del ristrettissimo gruppo di lavoro (tre persone in tutto) che ha elaborato le linee – guida del Tribunale di Brindisi, alle quali è stato fatto frequentissimo riferimento. Ed è proprio in merito a queste circostanze che tengo a precisare – concordemente con il resto del gruppo - come, invece, i criteri fondamentali utilizzati nel DDL 735 "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità", nonostante il titolo e gli intenti, non siano affatto in linea con i principi da noi espressi nelle suddette Linee Guida, più volte richiamate e che l'articolato non realizzi i pur lodevoli principi enunciati, al contrario rappresentando sotto vari aspetti un vistoso e pericoloso arretramento rispetto alla legge attuale.
Faccio un passo indietro per semplicità argomentativa: quando Brindisi ha deciso di formulare Le Linee guida lo ha fatto partendo dai principi contenuti nella L. 54/2006 ed utilizzando, come "faro", gli strumenti internazionali a tutela del "fanciullo", tutti, fino ad allora, rimasti disattesi.
Focus del "lavoro" è divenuto così, il minore "Soggetto di Diritto", titolare di "diritti Indisponibili" ed il fine di attuare il "superiore interesse del minore", operando, così, un radicale cambio di prospettiva rispetto a una prassi decisamente adultocentrica.
Al centro di ogni provvedimento, si poneva "quel minore" in "quella famiglia" con ciò cercando di promuovere il "suo" benessere psico-fisico e privilegiando l'assetto più favorevole ad una sua crescita e maturazione equilibrata e sana nella e con la sua famiglia.
Corollario applicativo di tanto è che i diritti degli adulti, di fronte a questo nuovo assetto, cedono in favore dei diritti del fanciullo, con l'ulteriore conseguenza che essi stessi trovano tutela solo nel caso in cui questa coincida con la protezione della prole.
Ciò determina che i diritti degli adulti, nel settore famigliare, acquistino una portata "funzionale" alla protezione del bambino, soggetto debole della relazione e, proprio perché titolare di diritti, indisponibili, bisognoso di maggiore tutela.
Orbene, il minore ed il suo benessere, nel DDL richiamato, scompare.
Ma non basta.
Da quanto si legge in merito alla modalità di richiesta e di esercizio dell'affido condiviso e di applicazione e/o raggiungimento degli accordi il minore diviene parte passiva delle relazioni famigliari, sottoposto, o almeno così in concreto appare, all'autorità degli adulti, dando al termine di responsabilità genitoriale la connotazione pratica della obsoleta "patria potestà".
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Lunedì 30 Luglio 2018 10:06 |
I diritti dei minori sotto la mannaia di
una Giustizia inadeguata ed incapace
avv. Gerardo Spira*
Se proviamo a mettere insieme, secondo il livello di valore, i principi costituzionali e le leggi sul diritto di famiglia avvertiamo, all’impatto, un sensibile disagio ad accettarne l’interpretazione applicata, come se la giustizia si muovesse contro i diritti dell’uomo. Lo Stato e le sue leggi vanno in una direzione, la giurisprudenza in altra direzione. Tra i poteri dello Stato non vi è coordinamento. Il principio dell’indipendenza forza quello dell’autonomia fino a porre sullo stesso piano organi ed istituzioni operanti nella stessa materia. Il cittadino ne subisce e paga le conseguenze in termini di diritti. Nella materia del diritto di famiglia diventa una vera e propria avventura affrontare il merito di una questione di separazione e di divorzio. La Giurisprudenza, come motore delle leggi, non aiuta la società ad accettarne l’orientamento, specialmente quando il contrasto interpretativo si fa più evidente tra i supremi giudici della Cassazione e quando poi il giudice costituzionale, chiamato, ne dà la soluzione di legittimità.
Quando scoppiano i contrasti, le indecisioni muoiono sulla pelle delle persone che attendono giustizia.
Ormai ogni cittadino è in grado di valutare se un provvedimento o una sentenza sono stati emessi secondo un percorso e ragionamento corretto e giusto. I sentimenti della giustizia si evolvono con la crescita dei valori della democrazia. Quando questi valori stridono con i principi scritti e fermi nelle leggi si apre il solco profondo tra lo Stato e i suoi cittadini. Qui il tarlo comincia ad attaccare la dignità dei principi delle leggi. Qui nasce il pericoloso scostamento tra chi fa la legge e chi l’amministra.
La famiglia è ritenuta e riconosciuta dalle Convenzioni, dai Trattati internazionali e dalla Costituzione italiana la prima cellula della società e i diritti dell’uomo, inviolabili e intoccabili. La loro violazione, anche per interpretazione di chi è deputato a farlo, ne lede i sentimenti e il valore.
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Martedì 24 Luglio 2018 18:01 |
La Corte di Cassazione bacchetta se stessa
Nuovo giro di valzer sull’assegno divorzile
avv. Francesco Valentini*
La Corte di Cassazione Civile, a sezioni unite, con la sentenza n. 18287 dell’ 11 luglio 2018, appena un anno dopo, rivede profondamente la sentenza della I sez. (sent. n. 11504 del 10.5.2017) con la quale aveva stabilito che l’assegno divorzile deve essere calcolato non sul “tenore di vita matrimoniale” (criterio introdotto nel 1990) ma esclusivamente sul principio dell’autosufficienza del richiedente perché, argomentavano i giudici, “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili … il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.)”.
Gli ermellini, al fine di agevolare la valutazione dell’indipendenza economica del richiedente e l’adeguatezza dei mezzi a sua disposizione, proponevano gli indicatori da tener presente: “: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
L’attuale sentenza, a sezioni unite (quindi inclusi i giudici che avevano espresso il parere ora contestato) sconfessa quella della I sez. Civ. perché, a loro dire, lede il principio della solidarietà post-matrimoniale ”sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno” ed abrogano di fatto l’art.5 della L. n. 898 del 1970 e successive modificazioni.
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Mercoledì 04 Luglio 2018 09:37 |
Centri antiviolenza, i minori, la legge e le istituzioni
Avv. Francesco Valentini
Quando si parla di violenze nell’ambito della famiglia, stampa, televisione e cultura di genere fanno in gara a sbattere in prima pagina “il mostro” e il rumore, attraverso le solite manifestazioni pilotate arriva fino al Parlamento. Qui la debolezza di genere prende il posto della discussione o dell’analisi più seriamente approfondita, per concludersi in fretta con un provvedimento più significativo contro il " maschio. Casualmente, si fa per dire, la strategia di genere ne approfitta nei periodi più propizi delle feste natalizie o di quelle estive, in pieno ferragosto (basta leggere le date di approvazione), quando i parlamentari uomini sono già con la mente nei meritati luoghi di riposo. Meno male che la rivolta culturale popolare con le elezioni del 4 marzo ha posto fine ad un sistema sconsiderato, confusionario e lontano dai veri problemi del Paese.
La violenza è sicuramente la peggiore espressione dell’essere umano. Essa non ha una connotazione genetica. Si può sviluppare in qualsiasi persona e trova la sua origine in fattori a cui la scienza ancora non ha saputo dare la esatta collocazione.
La violenza si manifesta in diversi modi e con modalità diverse, da quella fisica a quella più sottile di natura psicologica. Il legislatore commette un gravissimo errore allorquando la definisce come fenomeno solo contro la donna, trascurando che questa avviene anche da parte della donna contro l’uomo. Quando è l’uomo a fare violenza, questa si fa ricadere in normative e trattamenti speciali; quando invece è la donna a usare violenza all’uomo il fatto si tratta con la legge del codice penale. Nel primo caso si parla di femminicidio, nel secondo caso di semplice abuso, in qualche caso aggravato. Eppure i dati ministeriali, a cui il legislatore dovrebbe attingere, prima di legiferare, contraddicono le decisioni.
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Lunedì 18 Giugno 2018 11:48 |
Un falso problema
Una casa per i padri separati “poveri”
per coprire le colpe dei tribunali e della politica
Si fa un grande parlare dei padri poveri e tutti esternano la loro “umanità” nel proporre rimedi per alleviare la loro misera condizione: mense della Caritas (mantenute con i soldi di tutti), un tetto provvisorio, contributi economici per sostenere le spese legali … ma nessuno parla di una giustizia troppo schierata con le madri, un patrocinio a spese dello Stato (soldi pubblici) e graduatorie per l’accesso all’edilizia popolare che permettano la detrazione dai redditi del padre le somme che versa alla controparte per i figli e non più in sua disponibilità. Una riforma che spetta ai politici a livello nazionale e locale.
Nessuno ha il coraggio di affrontare il problema dalle radici perché intorno al malloppo vi girano interessi politici, economici e sociali. Nessuno ha il coraggio di mettere all’indice le istituzioni che non funzionano e la giustizia che è la prima e maggior responsabile del disastro familiare. Il business è troppo grande per parlarne!
La stampa è solo interessata a chiedere alle associazioni dati statistici sui nominativi dei padri finiti sul lastrico, ma evita di indagare sugli errori giudiziari e sul mal funzionamento dei tribunali e dei servizi sociali.
Le difficoltà economiche dei padri separati sono la conseguenza delle decisioni di alcuni tribunali italiani che nelle separazioni, nei divorzi e nell’affido dei figli, determinano condizioni economiche (mantenimento figli e spese straordinarie) non proporzionate ai reali redditi dei due genitori. E’ sempre l’uomo a subire il gravame del peso e quasi mai la donna, che per il solito benevolo sguardo di genere riesce a farla franca, anche nelle attività non dichiarate e nel lavoro a nero. Eppure la legge ha disposto l’obbligo degli accertamenti fiscali che in questo paese funzionano bene nel potere della guardia di finanza. Forse per questo non viene incaricata. Chi teme la verità: la giustizia di genere o il sistema che ruota intorno alle questioni?
Ora siamo invasi dall’istituto del Protocollo, stabilito tra le pari decidenti, come modus operandi, senza la partecipazione degli interessati, con carattere vincolante, per stabilire l’assegno di mantenimento dei figli e la natura delle spese straordinarie Tutto condiviso dagli ordini forensi. E la politica sta a guardare, timorosa di intaccare la sensibilità del magistrato, del giudice, dell’avvocato o del dirigente dei servizi sociali.
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Venerdì 18 Maggio 2018 16:51 |
Cassazione Civ. I, ordinanza n. 11553 del 13.4/11.5 2018
Riconosciuta la nullità del matrimonio
decade il diritto della moglie al mantenimento
avv. Francesco Valentini*
Se il Tribunale ecclesiastico decreta la nullità del matrimonio concordatario ed il tribunale civile competente, attraverso la delibazione riconosce la validità della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi originari che annullano l’unione tra i due coniugi, il dovere dell’assegno di mantenimento verso il coniuge più debole viene meno dopo la separazione. Al contrario, se il riconoscimento di nullità del matrimonio avviene dopo il divorzio passato in giudicato, le statuizioni di quest’ultimo – scrivono gli ermellini - rimangono in piedi e l’assegno divorzile va versato perché nella separazione “il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la fedeltà, la convivenza, la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale permangono, sebbene assumendo forme confacenti alla nuova situazione (cfr. Cass. n. 12196 del 2017)”.
Nel divorzio passato in giudicato – continua la Cassazione - la delibazione della nullità del matrimonio non ne inficia le statuizioni economiche sentenziate dal Tribunale civile perché “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, (…) il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge che sia stato ritenuto, tramite accertamento giudiziale, sprovvisto di «mezzi adeguati» o effettivamente impossibilitato a «procurarseli», così scattando quella solidarietà post coniugale (cfr. Cass. n. 11504 del 2017)”. Infatti – è scritto nell’ordinanza – il giudizio di divorzio e il giudizio di nullità presentano differenti petitum e causa petendi, e che, dunque, la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio non ostacola la delibazione della sentenza canonica di invalidità del vincolo”, la Corte “ha ritenuto, tuttavia, che, relativamente ai capi del provvedimento di divorzio contenenti statuizioni di natura economica, debba essere applicata la regola secondo cui, una volta accertata con sentenza passata in cosa giudicata la spettanza di un diritto, stanti gli effetti sostanziali del giudicato ex art. 2909 del codice civile, questa non è suscettibile di formare oggetto di un nuovo giudizio «al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 cod. proc. civ.».
Le statuizioni economiche prese durante la separazione decadono con la delibazione della nullità del matrimonio, mentre permane l’assegno divorzile se il pronunciamento del tribunale ecclesiastico interviene dopo la cessazione degli effetti civile del matrimonio (passato in giudicato).
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Venerdì 11 Maggio 2018 10:01 |
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Venerdì 11 Maggio 2018 09:23 |
In Valle d’Aosta
Nel patrocinio a spese dello Stato
tollerate le tante false dichiarazioni
Molte persone chiedono l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato presentando la dichiarazione dei redditi propri e dell’intero nucleo familiare. Per garantire a tutti i cittadini il diritto alla difesa nei processi, lo Stato concede il patrocinio gratuito a quelli che hanno un reddito lordo annuo non superiore ad euro 11.369,24 così come risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, aumentata in base ai figli.
L’accoglimento della domanda d’ammissione a tale beneficio spetta al giudice nei procedimenti penali e al consiglio dell’ordine degli avvocati per tutti gli altri procedimenti ai quali compete valutare la fondatezza delle pretese da far valere e se ricorrono le condizioni per l’ammissibilità. Copia del provvedimento d’ammissione viene trasmessa all'interessato, al giudice competente e all'Ufficio delle Entrate, per la verifica dei redditi dichiarati. Tutti costoro, dunque, hanno il dovere di valutare la veridicità e completezza delle dichiarazioni.
Resta incomprensibile che molte persone usufruiscano del patrocinio gratuito nonostante, sia il richiedente che i familiari, svolgano una regolare e continuata attività occupazionale retribuita, come in tanti sanno. Le ragioni possono essere tante e la più rilevante è quella dei redditi truccati per il lavoro a nero che svolgono ma che, con complicità varie, non viene dichiarato.
Il patrocinio concesso ma non dovuto danneggia noi tutti perché i costi dei processi vengono pagati con i soldi pubblici e danneggia in modo particolare alcuni genitori nelle separazioni e divorzi dove con estrema facilità e superficialità e con spirito di vendetta il beneficiario denuncia l’ex marito o compagno e il genitore dei loro figli per qualsiasi cosa, costringendo l’ex partner a doversi difendere nelle sedi giudiziarie per continue denunce infondate che al denunciante non costano nulla.
Non è facile, per alcuni soci valdostani, far fronte alle continue e pretestuose denunce di controparte, a cui non sono estranei alcuni legali, - denunce che ad Aosta non sono mai archiviate quando sono contro un padre e marito/compagno - poiché non hanno risorse economiche per difendersi (in caso di condanna questi genitori rischiano di perdere anche i figli) e nemmeno possono accedere al beneficio di cui usufruisce controparte.
E’ noto a tutti che quando finisce una convivenza, il padre ed ex-marito o compagno si ritrova quasi sempre senza casa, con un mutuo sulle spalle, un pesante assegno di mantenimento per i figli, oltre alle spese straordinarie per gli stessi – mai condizionate al suo consenso – e, nella quasi totalità dei casi, non può permettersi nemmeno una minuscola abitazione per sé, non può accogliere dignitosamente i figli quando sono con lui e molto spesso è costretto a ritornare a vivere con i familiari o essere ospitato da amici. Se a ciò si aggiungono le spese legali per difendersi dalle denunce di controparte, al padre non resta che chiedere l’elemosina per poter mangiare, pur lavorando, e non potrà mai rivendicare, in tribunale, il diritto alla bigenitorialità dei figli perché senza un quattrino e i legali, si sa, non lavorano gratuitamente.
I milioni messi a disposizione ogni anno dalla Stato non servono per coprire tutte le richieste di chi ne avrebbe diritto e gli “abusivi” negano loro il diritto al patrocinio a spese dello Stato.
Le false dichiarazioni economiche, il diffuso lavoro nero – solo raramente coperto da un part-time altrettanto non veritiero – danneggia il padre separato anche nella determinazione dell’assegno di mantenimento per i figli e nella suddivisione delle spese straordinarie calcolate, in solidarietà, sui redditi dichiarati dai due genitori.
Le problematiche legate alle false dichiarazioni economiche e alla assai diffusa evasione fiscale verranno sottoposte dall’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori alla Procura della Repubblica, al Tribunale, alla Corte dei Conti, alla Agenzia delle Entrate, alla Guardia di Finanza ed all’Ispettorato del Lavoro della Valle d’Aosta, come pure di tutte le altre regioni, perché ciascuna istituzione indaghi in modo approfondito su questo fenomeno noto a tutti gli abitanti valdostani e non solo.
Ai politici si chiede di denunciare a chiare lettere il fenomeno del lavoro in nero.
Inoltre si chiedono severi provvedimenti nei confronti di chi permette tale lavoro e di chi presenta dichiarazioni mendaci; altresì si chiedono provvedimenti disciplinari nei confronti di chi le sottoscrive, di fatto avallando la richiesta del cliente.
Ubaldo Valentini - presidente
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