Valle d'Aosta, la maternità di una giovanissima donna
e le assistenti sociali
Venerdì, 13 Settembre 2019
AOSTA. Quella che pubblichiamo di seguito è la terza testimonianza di una persona che ha vissuto sulla propria pelle il rapporto non sempre facile tra le difficoltà umane e una parte delle istituzioni rappresentate nel caso in questione da alcune assistenti sociali.
È una storia a lieto fine e complicata data la giovanissima età della protagonista che si è trovata ad affrontare una maternità improvvisa e tante avversità, potendo però contare su un compagno ed una madre decisi a difendere il loro diritto a costruire una famiglia.
«Nel novembre del '92 mi trasferii dalla Toscana a Villeneuve seguendo mia madre dopo la separazione dei miei genitori. All'epoca frequentavo le scuole medie (ero stata bocciata due anni) e qualche mese dopo il trasferimento conobbi il mio attuale marito e padre dei miei figli, più grande di me di nove anni. Mi innamorai di lui, fu un colpo di fulmine. Due anni dopo durante gli esami di terza media scoprii di essere incinta, ma non dissi nulla a casa. A scuola però si accorsero della mia situazione ed anziché contattare la mia famiglia fecero intervenire i servizi sociali. In quel momento iniziò il calvario mio e della mia famiglia.
Iniziai ad incontrarmi con un'assistente sociale (che oggi si occupa di assistenza agli anziani perché tolta dall'incarico di seguire minori) e con una psicologa (anche lei non svolge più quel ruolo). Sin dall'inizio con loro fu uno scontro continuo su tutto. Mi minacciavano quotidianamente, mi dicevano che non avrei visto mia figlia fino all'affido da parte del Tribunale dei minori. Avevo con loro colloqui quasi giornalieri ed erano sempre pronte a farmi una guerra spietata con un accanimento folle contro di me e la mia famiglia. Al quarto mese di gravidanza arrivai a chiedere di abortire: non reggevo il peso di tutta quella cattiveria. Mio marito però si era assunto sin da subito tutte le responsabilità e io decisi di portare avanti la gravidanza. Furono però i nove mesi più lunghi della mia vita. Un giorno sì e uno no ero obbligata a presentarmi al consultorio per dei colloqui.
La notte del 17 marzo 1995 iniziarono le contrazioni. All'ospedale Beauregard in sala parto c'era mio marito mentre all'esterno l'assistente sociale e la psicologa aspettavano che io partorissi. Quando nacque la mia splendida figlia, mio marito non la perse mai di vista avvertendo che non sarebbe stata portata fuori dall'ospedale sino all'affido. Il giorno dopo mio marito si recò in Comune con un testimone registrandosi come padre, dando il cognome a mia figlia, ed anche come madre visto che io avrei compiuto 16 anni solo qualche mese dopo. Dopo lunghe discussioni in ospedale, uscii da lì assieme a mia figlia.
Nei mesi successivi fui aiutata da mia madre a crescere la bambina e anche lei fu coinvolta in questa guerra con le assistenti e la psicologa. Al consultorio dove portavo la bimba per le visite e il controllo sul peso insistevano nel dirmi che dovevo somministrare solo latte materno, che però io non avevo. Su consiglio di un pediatra consultato in privato, mia madre e mio marito decisero di prendere del latte artificiale che iniziai a dare alla bambina di nascosto. Lei così cominciò ad aumentare di peso, ma non era abbastanza per le assistenti. Ci sarebbero tante cose da raccontare. Ogni giorno per esempio in tre entravano in casa per controllare se era pulita, passavano le dita sui mobili, ed un giorno minacciarono di mandarmi i carabinieri a casa se non avessi portato la bambina alla visita di controllo nonostante la notte avesse nevicato molto rendendomi difficile raggiungere il consultorio.
Nel tempo abbiamo affrontato tanti viaggi da Aosta a Torino, al Tribunale dei minori, ed abbiamo sentito diversi giudici coinvolgendo anche mio padre e mia sorella che vivevano ancora in Toscana.
Dopo mesi di battaglie, quando mia figlia aveva 8 mesi, ricevetti una lettera in cui mi comunicarono che avevano tolto la patria potestà a mio marito: fu la goccia che fece traboccare il vaso. Decidemmo di metterci in contatto con Maria De Filippi e Maurizio Costanzo che ci invitarono a Roma per approfondire la nostra situazione. Al rientro da Roma, venuti a conoscenza di tutte una serie di informazioni, ci recammo al Tribunale dei minori a Torino: scoprimmo relazioni false e mendaci redatte dagli assistenti e, considerata la sofferenza patita negli ultimi 18 mesi, alla fine ottenni l'autorizzazione a sposarmi.
Ancora oggi fa molto male rivivere quel periodo della mia vita. Anziché fornire assistenza, i servizi sociali rischiarono di distruggere la mia famiglia. Ancora oggi tante donne separate in difficoltà non chiedono aiuto temendo per i loro figli. Ci sarebbero molte cose da approfondire sul funzionamento di questo sistema».
Sono numerose le testimonianze simili a questa che stiamo ricevendo in redazione. Siamo disponibili ovviamente a pubblicare anche la voce di coloro che si comportano con estrema professionalità e che ci vogliano raccontare la difficile e utile professione dell'assistente sociale. Vogliano raccontare la difficile e utile professione dell'assistente sociale.
Marco Camilli
Valle d'Aosta, una madre single con due figli piccoli
e la proposta «immorale» dell'assistente sociale
Venerdì, 06 Settembre 2019
AOSTA. I servizi sociali sono una istituzione fondamentale per tutelare i più deboli e l'assistente sociale è una figura importante che svolge un ruolo delicatissimo, quando il sistema funziona. Purtroppo non è sempre così.
Quella che leggerete sotto queste righe è la testimonianza di una persona che, cercando aiuto, si è messa in contatto con i servizi sociali della Valle d'Aosta ricevendo in cambio una proposta ritenuta «indegna e immorale». Come nel caso del nostro primo articolo sui servizi sociali, per motivi di privacy non forniremo dettagli sulle generalità delle persone e dei minori coinvolti.
«Dieci anni fa ero una giovane mamma single con due bambini piccoli, uno di 2 e l'altro di 4 anni. Ero arrivata da poco in Valle d'Aosta e cercavo un lavoro, ma mi scontravo con la necessità nel conciliare i miei impegni di madre con quelli professionali».
«Provai ad iscrivere i bambini al nido senza riuscirci, forse perché non c'era più posto o perché non rispettavo i requisiti. A quel punto mi rivolsi ai servizi sociali attraverso una assistente sociale. Fissato un appuntamento, andai da lei insieme ai miei figli, nel suo ufficio. Mi ricevette con molta gentilezza e le raccontai la mia storia, le mie difficoltà nel combinare i diversi impegni. Lei prese appunti per tutta la durata del colloquio e alla fine mi rassicurò: avrebbe trovato una soluzione e mi avrebbe contattata per fissare un altro incontro».
«Passò circa una settimana e ricevetti la chiamata dell'assistente sociale che fissò un nuovo appuntamento per comunicarmi le novità. Speranzosa, il giorno dell'incontro mi recai nel suo ufficio pensando che avesse stato trovato un posto in un asilo per i miei bambini. Invece quello che mi propose mi sconvolse».
«Seduta di fronte a me, mi disse che aveva trovato per i miei bambini due posti in due case famiglia. Io in un primo momento pensai che si trattasse di strutture simile agli asili nido, invece no: l'assistente mi spiegò che si trattava di due famiglie senza figli che si sarebbero occupate di accudire i miei. Rimasi paralizzata per alcuni attimi. Lei continuò a parlare pensando di convincermi dicendo che sarebbe stata una buona scelta per i bambini, visto che io ero single. Mi disse anche che avrei potuto continuare a vederli. Appena mi ripresi dallo choc le urlai tutta la mia rabbia. Le dissi di non permettersi più di avvicinarsi ai miei figli. Andai via sbattendo la porta».
«Oggi io ho trovato un impiego professionalmente qualificato ed i miei figli sono cresciuti senza mai sapere il pericolo corso quando, dieci anni fa, chiesi aiuto alle istituzioni in un momento di difficoltà. Spero che ciò che ho vissuto non sia capitato ad altri. E spero che nessun'altra donna debba subire proposte cosi indegne e immorali».
Sono tantissime le testimonianze simili che stiamo ricevendo in redazione. Siamo disponibili ovviamente a pubblicare anche la voce di coloro che si comportano con estrema professionalità e che ci vogliano raccontare il difficile e utile professione dell'assistente sociale.
Marco Camilli
Valle d'Aosta, l'affido di un minore tra assistenti sociali e burocrazia
Venerdì, 30 Agosto 2019
AOSTA. Quello che vi proponiamo è il racconto di Antonio, nome di fantasia di un padre valdostano che può vedere il figlio di 7 anni un'ora a settimana e solo in presenza di un educatore. Antonio è un papà single che per alcuni anni ha cresciuto il bambino quasi da solo fino a quando gli assistenti sociali, da lui contattati per avere consigli, decidono che non è un buon padre.
La storia di Antonio è simile a quella vissuta da tanti altri papà in Valle d'Aosta e racconta di come basti la burocrazia, condita magari da pregiudizi di genere, per sconvolgere la vita di genitori e figli.
La storia di Antonio è inoltre il primo di una serie di articoli che Aostaoggi.it dedicherà al mondo degli assistenti sociali nella nostra regione.
Antonio, quanti anni aveva vostro figlio quando lei e la sua ex compagna vi siete separati? «Aveva due anni».
Come vi siete accordati? «Non avevamo preso accordo in realtà. Mio figlio abitava con me e lei viveva vicino a casa e vedeva il bambino tutti i giorni».
Non c'è stato bisogno quindi di andare da un giudice? «No, non è servito».
Poi cosa è successo? «Lei ha conosciuto il compagno attuale, una persona che non mi piaceva molto e su cui giravano voci in paese. A me non importava perché la vita è la sua, ma le ho chiesto di non coinvolgere il bambino nella loro relazione perché volevo che le cose con il compagno diventassero stabili prima di far entrare il bimbo nella loro vita».
Anche con l'arrivo di questo nuovo compagno il bambino viveva con te? «Per quattro anni è sempre rimasto a casa mia, risiedeva con me sempre».
E dopo? «Lei aveva trovato un nuovo impiego e si era trasferita ad Aosta ed ogni giorno, per tre o quattro mesi più o meno, veniva a casa mia a vedere il bambino per mezz'ora o un'ora alla fine del lavoro».
In quel periodo avete mai parlato del futuro del bambino? «In quel periodo no. Io comunque volevo che finisse le scuole dove abitavo io perché già conosceva i compagni di classe».
A casa con lei c'era anche sua madre? «Sì, mia madre, i miei parenti».
Quando la sua ex compagna ha cambiato idea sulla custodia del bambino? «Quando abitava ad Aosta ha chiesto che il bambino prendesse la residenza da lei. Io invece volevo che finisse l'asilo e le scuole dove le aveva iniziate, per non portarlo lontano dai suoi amici. Così siamo arrivati a coinvolgere gli avvocati. Lei ha chiesto tramite il legale di far trasferire la residenza al bambino ed io sono andato ad informarmi dall'assistente sociale».
Gli assistenti sociali già erano a conoscenza della vostra situazione? «No, loro non sapevano del nostro caso. Ho spiegato loro che il bambino stava da me, che la madre lo vedeva per un'ora o mezz'ora al giorno e che il bambino piangeva perché non voleva andare con lei».
Come sono intervenuti gli assistenti sociali? «Hanno organizzato dei colloqui con lei e fatto intervenire uno psicologo. Hanno poi deciso che il bambino doveva integrarsi nella nuova famiglia, concedendo però che finisse almeno l'asilo prima del trasferimento. Il bambino però voleva stare con me. La madre dopo sei, nove mesi si era sposata e secondo me la relazione con il nuovo compagno non era ancora stabile e il bambino non doveva essere coinvolto».
Dal momento che la decisione non era condivisa dai genitori, il caso è arrivato nelle mani del giudice. Cosa ha deciso il giudice? «Il giudice ha stabilito che il bambino andasse dalla madre, facendogli comunque finire l'anno scolastico nella stessa scuola. Poi mio figlio si è trasferito dalla madre e dal marito. Nel giro di pochi anni hanno cambiato casa altre tre volte facendogli cambiare scuole durante l'anno scolastico».
Lei poteva vedere suo figlio? «Dopo la prima udienza ad Aosta mi avevano dato due giorni infrasettimanali e nei week end. Poi io ho chiesto l'affido esclusivo ed è stato come darmi la zappa sui piedi. Mi fu negato perché nelle relazioni i servizi scrissero che io plagiavo mio figlio. Stilarono un calendario per le mie visite. C'era molto conflitto e io non accettavo che il bambino andasse a vivere in casa con la madre e il nuovo compagno dopo così pochi mesi di relazione».
Il bambino cosa diceva? «Lui fin dall'inizio voleva sempre stare da me. Piangeva davanti all'educatrice e diceva che voleva stare a casa del papà, che non voleva andare dalla mamma. Dalle relazioni questo piangere veniva descritto come se il bambino recitasse una poesia».
Adesso qual è la vostra situazione? «Sono quasi due anni che vedo il bambino un'ora a settimana alla presenza di un educatore. L'educatrice che c'era prima aveva dichiarato il falso ed inoltre conosceva i genitori della mia ex compagna. La mia ex inoltre è diventata inoltre molto amica con l'assistente sociale. Anche lei ha scritto nelle relazioni cose che non sono vere».
Perché visite di un'ora a settimana e perché in presenza di un educatore? «Perché secondo loro io manipolavo il bambino. Come ho anche dichiarato, ero infastidito dal fatto che frequentasse il marito di sua madre, che ci giocasse, avevo paura che diventasse lui la figura paterna. La mia compagna, a quanto mi è stato detto, ha dichiarato che invece il bambino piangeva perché voleva giocare insieme al marito».
Cosa dice suo figlio? «Lui continua a dirmi che vuole restare da me, che gli manca casa nostra».
E' più stato a casa sua? «No, l'assistente sociale ha vietato anche di andare dalla nonna, mia madre, che lo sta incontrando un'ora ogni due settimane in presenza di un educatore. Anche lei ha dovuto rivolgersi ad un avvocato per poterlo vedere di più. La mia ex compagna non lo portava nemmeno più e i servizi non volevano che venisse perché c'ero io presente. Quando mio figlio veniva su io dovevo organizzandomi la giornata e fare 30 km da casa fino ad Aosta per non incontrarlo».
Chi ha fissato tutte queste regole? L'assistente sociale.
Cosa si aspetta adesso? «Il percorso è ancora lungo. Mi volevano anche togliere la patria potestà. Quando sono andato a Torino a parlare con il giudice mi avevano detto che solitamente dopo sei mesi o un anno le ore da trascorrere con mio figlio sarebbero aumentate e le visite protette sarebbero state tolte. Invece tutto è andato in mano ai servizi sociali e i mesi di visite protette sono a mano a mano aumentati con una scusa o con l'altra. Ora vorrebbero che mi riappacificassi con il marito e con i parenti».
C'è stato uno scontro verbale o fisico con il marito? «Fisico no, verbale sì. C'è molto conflitto».
Con suo figlio, davanti all'educatore, hai mai parlato male del nuovo compagno? «No».
Per vedere suo figlio per più tempo dovrebbe quindi riappacificarti? «Ho chiesto cosa c'entrasse il mio rapporto con lui con il poter trascorrere delle ore in più con il bambino. Il bambino sta patendo, vorrebbe vedermi di più, non ho nemmeno la possibilità di programmare delle attività con lui per il suo benessere».
Le feste come le trascorrete? «Il giorno del mio compleanno l'ho visto con una visita protetta in una struttura. Poi durante l'estate lo vedo all'esterno, sempre un'ora a settimana, a volte in un parco giochi sempre ad Aosta. Non posso telefonargli. Per il suo compleanno l'ho potuto vedere un'ora sempre in presenza dell'educatore, che è una brava persona. Non ho invece più fiducia nell'assistente e nella psicologa».
Il percorso formativo lo può seguire? «Sì posso parlare con le maestre e informarmi sulla situazione a scuola, però non posso andarlo a prendere a scuola. L'ho fatto solo due volte in questi anni, una delle quali per vedere la recita di Natale ed ero insieme all'educatore».
Quante risorse economiche hai investito per difendere il rapporto con suo figlio? «Tanto, avrò speso 7-8mila euro tra avvocati e procedimenti. Più le spese per andare avanti e indietro tutte le settimane per vedere mio figlio, comprare regali e vestiti. Nei quattro anni in cui l'ho cresciuto a casa ho sempre pagato io mentre la madre non ha dato niente».
E raggiungere un accordo con la tua ex compagna? «Lei non ha mai voluto. Volendo si potrebbe trovare una intesa tra avvocati, scrivere al tribunale e far togliere gli assistenti».
Quindi ora un assistente sociale programma, regola e gestisce la vita sua e di suo figlio perché ritengono che lei manipoli il bambino, ma se trovaste un accordo tutto questo cesserebbe? «Sì, con l'accordo sì».
E' quindi solo una questione burocratica? «I servizi non vorrebbero perché c'è ancora troppa conflittualità, ma non stanno guardando più al benessere del bambino. Lui sta patendo tantissimo questa situazione».
Cosa vorrebbe dire all'assistente sociale? «Quello che ho sempre detto: vorrei avere mio figlio a casa mia, come ha chiesto anche il bambino. Ancora oggi l'assistente mi dice che deve esserci collaborazione, ma ormai sono passati due anni e non so più cosa fare. Chiedono a me collaborazione, ma ogni volta trovano un problema diverso: prima la manipolazione, poi la riappacificazione con la mamma, poi quella con il marito. E se non ci riappacifichiamo la psicologa una volta ha detto che vorrebbero mettere il bambino in una comunità».
Il compleanno di suo figlio, che ha compiuto 7 anni, è stato pochi giorni fa. Cosa gli ha regalato? «Due paia di pantaloni e una divisa da Carabiniere che a lui piace».
Vuole bene a suo figlio «Sì».
Se le dicessero di stare buono e tranquillo o altrimenti il bambino andrebbe in comunità, lei cosa farebbe? «Starei buono e tranquillo, come sto facendo ora.»
Marco Camilli
Commento avv. Gerardo Spira
Procedimento sbagliato. Tutto ruota intono ad un metodo finalizzato a fottere il padre. Dicono e inventano bugie e falsità per giustificare lo scopo. Abusi e soprusi commessi in forza di un potere ed una funzione alterati contro il padre, pur sapendo di penalizzare il minore. Qui non è ignoranza o negligenza. E’ dolo.
Il Giudice, con la sua autorità, ha coperto, con la toga, un fatto diretto contro gli interessi del minore. Il giudice è coinvolto. Se fossi la Procura arresterei tutti i rappresentanti dei pubblici poteri e aprirei l’inchiesta nelle comunità.
Non hanno cercato il benessere del bambino, ma l’interesse della madre. Il giornalista è entrato in un campo minato.
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