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Abbiamo bisogno di cambiare la legge sull’affido condiviso perché non viene applicata nei tribunali. Alcuni giudici ancora continuano ad identificano il congiunto con il condiviso e pur facendo riferimento alla L.54/2006 ma i provvedimenti emessi parlano la vecchia prassi in vigore dal 197: centralità della madre e ruolo economico al solo padre. Nuovi progetti, nuovi assalti alla diligenza della genitorialità da parte di politici, professionisti, istituzioni pubbliche e legali e nuova ricerca di consensi particolarmente necessari in questi momenti di totale sfiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti.

Cambiare l’affido condiviso non serve

se non si cambia la cultura sui minori

di Ubaldo Valentini *

La riforma del diritto di famiglia del ’75 parlava di bigenitorialità e precisava che l’affido dei minori doveva avvenire dopo una seria valutazione delle specifiche capacità educative dei singoli genitori e che doveva essere privilegiato quello più idoneo a curare la loro crescita psico-fisica, affettiva e culturale. L’affido non era affatto ad esclusivo “appannaggio” della madre, come poi invece si è rivelato, e il padre non doveva avere il solo ruolo di padre economico. Al giudice spettava interpretare la legge ma senza quella discrezionalità talvolta inopportuna che, invece, ha finito per privilegiare sempre e comunque la madre. Il vero problema - allora per la novità del divorzio come oggi per il condiviso - è la mancanza di una cultura sulla paternità e sulla separazione sia nei magistrati, nei legali, nei servizi sociali che nella società nel suo insieme.

 

La cultura borghese e liberale è stata sempre propensa a delegare alla donna il compito di allevare ed educare i figli poiché all’uomo spettava quello degli affari e del lavoro in genere. Per costoro, il padre “quotidiano” e tantomeno il padre-mammo erano visti come ruoli impropri per l’uomo. Non rientrano nei loro parametri etico-sociali certe tesi odierne specificatamente: che la paternità non si esaurisce solo con il procurare il sostentamento e il benessere alla famiglia e ai figli; che nella famiglia nucleare la donna lavora e spesso rincorre anch’essa la carriera restando per gran parte della giorno fuori casa e ciò mal si comporta con il ruolo genitoriale a tempo pieno; che i padri da anni chiedono di poter fare i padri, soprattutto dopo la separazione coniugale, e, quando si permette loro di farlo, rivelano ottime qualità genitoriali. Vedere un padre passeggiare da solo con la carrozzina, fare spesa con a seguito i figli, giocare con loro ai giardinetti, curare la loro igiene e preparare loro i pasti non fa più notizia e non scandalizza più nessuno.

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Troppo spesso la “ovvietà” vuole prendere il posto della competenza scientifica e professionale. In molti si sentono autorizzati a formulare “loro” teorie - anche se talvolta ovvie ma poco scientifiche e soprattutto poco praticabili e pertanto non utili ai  minori e al genitore costretto ad essere meno presente nella vita dei propri figli – da imporre a tutti come il toccasana per risolvere i disagi provocati da una separazione conflittuale.

In tanti si improvvisano maestri

 

Con sempre maggior frequenza si sentono o si vedono scritti pareri tecnici o “scientifici” sull’affido dei figli e sulle separazioni espressi da persone che svolgono professioni in campi ben diversi da quelli della psicologia dell’età evolutiva, della psichiatria infantile, della pedagogia e della sociologia. Costoro propongono soluzioni che poi i fatti sistematicamente rendono impraticabili e talvolta si rivelano pure dannose.

Sfogliando le pagine della stampa e dei numerosi libri dedicati all’argomento, visitando i siti web si ha l’impressione che troppi “esperti” in realtà dovrebbero fare solo la professione per cui sono titolati o pagati in quanto certe discipline non possono essere improvvisate se non se ne conoscono la struttura scientifica e i loro principi di indagine, in particolare quelle inerenti la sfera psicologica ed educativa dei minori.

Molte persone ci contattano dicendo che il/la pediatra ha consigliato loro come comportarsi nell’educare i figli, indicando loro come farli relazionare con l’altro genitore, arrivando anche a dare consigli legali. Molti lo fanno per soddisfare una richiesta del genitore del minore e tanti genitori confondo il ruolo del pediatra con quello di altre specifiche figure professionali competenti per l’educazione e la crescita psico-culturale e sociale dei minori. Da questi professionisti si deve pretendere che svolgano con scrupolo la professione sanitaria per la quale sono retribuiti  e che si aggiornino su come curare i bambini e prevenire le malattie infantili, ma  non ci si deve aspettare o accettare valutazioni exra-professionali sui nostri figli.

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