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Il Bullismo: le responsabilità delle istituzioni

avv. Gerardo Spira

 

Corretta riflessione, quella del dott. Maurizio Bartolucci (espressa nell’articolo di seguito riportato) per quanto riguarda l’analisi, l’ambiente e il mondo che oggi circonda la vita del minore.

Dove esiste la famiglia, un padre ed una madre che si rapportano ai valori ed ai principi ancora cardini della società, le responsabilità vanno addebitate soprattutto ai genitori, ma dove la famiglia è finita nella cultura della separazione o del divorzio le responsabilità vanno addebitate alle istituzioni coinvolte e alla giustizia minorile che insistono per gli affidamenti condizionati e limitati o addirittura con affidamenti esclusivi, impedendo ad un genitore di adempiere agli obblighi di cui all’art. 30 della Costituzione e art. 147 del c.c. La sottrazione disposta con la solita formula ed in nome della legge è il momento in cui comincia il disastro della vita del minore...

 

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incredibile ma vero!

Centri antiviolenza per le madri

e/o violenza legalizzata sui padri?

 

di Ubaldo Valentini *

Occorre premettere che la violenza  non ha ragione d’esistere in nessun caso e che deve essere combattuta con tutti i mezzi. Ciò, però, non ci esime dal sottolineare che la violenza spesso viene invocata a sproposito e che dietro a certe battaglie si nascondono interessi non sempre solari. La violenza fisica è con maggior frequenza di genere ma non va sottovalutata quella psicologica, sociale, culturale che l’alimenta o che – come troppo spesso avviene – la subisce l’uomo e per questo troppi contesti sociali continuano a negala.

Il binomio che vuole la donna sempre vittima e l’uomo sempre carnefice è fuorviante.

 

Il fatto

Un uomo, divorziato e con un figlio maggiorenne cresciuto in collaborazione con la madre, diviene nuovamente padre a seguito di una relazione con una straniera. Solo ora viene a sapere che questa donna era stata “deferita all’autorità giudiziaria per molestie e disturbi alle persone, per stupefacenti ed era stata denunciata per lesioni personali e per violazione di domicilio a scopo di furto” e, a causa della sua “pericolosità sociale” gli veniva negato il permesso di soggiorno.

La nascita di un figlio in Italia le aveva assicurato il permesso di soggiorno pur restando in piedi tutti i provvedimenti giudiziari. Da quel momento, lei, aveva risolto i propri problemi di soggiorno e pensò bene di far fruttare economicamente la nascita di un figlio concepito con un uomo italiano.

Ha incominciato a contestare la convivenza, a rendere impossibile la vita al compagno, a rifiutare il lavoro  e a trascorrere gran parte del giorno al bar. Ma non si era fermata a ciò. Lo offendeva continuamente anche in presenza degli amici, lo accusava di essere sempre ubriaco (perché una volta, dopo una cena con amici, era risultato positivo al test etilico) e di essere un cocainomane (circa trent’anni fa un coetaneo  con  problemi di droga aveva riferito alle forze dell’ordine che lui, giovanissimo, gli aveva fornito uno spinello. Fu indagato e assolto perché estraneo ai fatti).

Col passare dei mesi la signora intensificò le aggressioni verbali e non solo contro il compagno, chiedendo continuamente soldi a tutti per inviarli, a suo dire, alla madre malata, incominciò  a chiamare continuamente i carabinieri per ogni discussione con il padre di suo figlio che, la sera, al rientro dal lavoro chiedeva informazioni sul bambino. Arrivò ad accusarlo di violenza e stalking su di lei e sul figlio stesso, di maltrattalo mentre, in realtà, il piccolo era legatissimo al padre che, nel tempo libero, stava sempre con lui.

Nelle denunce ha indicato una serie di testimoni suoi amici che, interrogati dai carabinieri, hanno messo in evidenza la pazienza del compagno, le sue capacità genitoriali ed invece hanno evidenziato il carattere difficile e violento della signora che l’umiliava ed offendeva continuamente e senza alcun motivo, che era sempre alla ricerca di soldi tra i conoscenti e i parenti dell’uomo. Arrivò a chiedere soldi anche su internet.

Gli stessi carabinieri hanno segnalato alla Procura della Repubblica competente che quanto denunciato dalla signora era in netto contrasto con quanto affermato dai testimoni da lei indicati che, al contrario, negavano la violenza del compagno che, secondo loro, era la vera vittima del comportamento della signora.

Una bella sera la signora ha chiamato i carabinieri per presunte violenze del compagno ed ha dichiarato che voleva andarsene da casa con il figlio per andare a vivere altrove, nonostante il compagno le avesse prospettato, dinnanzi alle forze dell’ordine, di restare lei in casa perché se ne sarebbe andato lui.  In realtà era già pronta l’amica della signora – anch’essa con problemi con la giustizia – che li ha prelevati per portarli a dormire a casa sua.

Il giorno dopo si è rivolta ad un centro antiviolenza per chiedere protezione e ad una casa protetta in un comune vicino per essere ospitata. Il genitore solo ora è venuto a conoscenza dove si trovi suo figlio che da oltre cinque mesi non vede e non sente. Il bambino ora ha  due anni e mezzo ed ancora non sa perché il padre – che continua disperatamente a cercare -  sia “sparito nel nulla”.

 

Il centro antiviolenza

ubicato in una grossa città umbra, è finanziato dagli enti pubblici, rientra nei progetti a difesa della donna che, a loro dire, è l’esclusiva vittima della violenza dell’uomo. Le istituzioni finanziano strutture senza il minimo riscontro oggettivo sul loro operare e sulle competenze scientifiche degli operatori. Il dinamismo – meglio sarebbe dire la interessata presunzione e il fanatismo settario e qualunquista – ha indotto la responsabile del  centro a scrivere al tribunale per i minori affinché venisse tolta al padre la responsabilità genitoriale, invitandolo a tenergli nascosta la località dell’attuale residenza della madre e del figlio e, cosa ancor più grave, chiedendo di secretare la lettera per garantire la tutela della signora e del minore.

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