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Responsabilità anche del legale

nell’affido discriminante del padre


Il padre, o genitore non collocatario, viene discriminato dai servizi sociali e dai magistrati anche per responsabilità del legale di ciascun genitore, che, quasi sempre, non si batte, nemmeno pubblicamente, per un affido equo e paritario dei figli, soprattutto dove le distanze non sono proibitive o, comunque, relative rispetto ai benefici sui figli, ma, a lungo andare, anche sui genitori, da un affido che non penalizza nessun genitore. Il problema delle distanze può essere affrontato nel processo di affido, imponendo ai genitori di rispettare, prima di tutto, le esigenze dei figli, permettendo loro di rapportarsi con equità e con le pari opportunità con ciascun genitore.

Nella maggior parte degli affidi si può applicare la forma del condiviso paritario, educando i genitori a non farsi la guerra su questioni futili rispetto al benessere dei figli, imponendolo quando i genitori (soprattutto la madre) non vogliono rinunciare all’assegnazione della casa coniugale/familiare, all’assegno di mantenimento per i figli e a tutti i contributi economici clientelari che gli enti locali elargiscono con molta generosità ai moderni cliens, cioè portatori di voti, di cui l’ente erogatore non permette all’altro genitore di venirne a conoscenza con il pretesto della inesistente privacy.

Tanti tribunali non hanno mai applicato l’affido paritario dei figli, per il pieno rispetto della l. 54/2006 sull’affido condiviso, così come il Tribunale di Brindisi, l’11.04.2017, disciplinava con specifiche Linee Guida, con la chiara finalità secondo cui “ai figli dovranno essere concretamente concesse pari opportunità di frequentare l’uno e l’altro genitore, in funzione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico. Ciò non significa, a parere di questo tribunale, che i figli in ogni caso debbano trascorrere necessariamente tempi identici presso ciascuno di essi. Potrà anche accadere che alla fine di un anno si constati che la presenza di un genitore è stata (in misura ragionevole) più ampia di quella dell’altro, ma ciò deve essere accaduto in conseguenza delle casuali esigenze dei figli in quell’anno, non per una imposizione legale stabilita a priori. (…) la presenza equilibrata dei due genitori divide il sacrificio e riduce il rischio di interventi esterni”.

La nostra associazione opera da 27 anni in tutta l’Italia e da subito, constatato che esisteva – ed esiste tutt’ora - un servizio sociale assai “obbediente” alle direttive del tribunale locale e fortemente sbilanciato verso la madre a discapito del padre, che, con tanta facilità, veniva e viene estromesso dalla vita dei figli e le cui contestazioni sul mancato rispetto delle condizioni di affido veniva – e viene - rigettato con frettolosa superficialità e ciò comporta anche la beffa del pagamento delle spese del legale di controparte abbuiamo messo in discussione il loro operato.

Le lamentele di alcuni legali sull’operato anti-minori del servizio sociale, però, non sono state mai esternate con contestazione di una istituzione, ormai sempre più in mano a cooperative private e, purtroppo, talvolta sempre più divisivo e discriminante e di un tribunale fortemente ancorato ad antiquata cultura matriarcale. Lo abbiamo fatto noi, dinnanzi agli abusi perpetrati ai danni dei minori, privati dell’importante sostegno morale ed educativo di un genitore, che potevano frequentare solo secondo schemi incentrati sulla intoccabilità delle pretese materne. Nel corso degli anni, le ingiustizie dei servizi sociali, denunciate nei convegni e nelle conferenze, sono state fatte presenti agli enti locali, da cui dipendeva questa istituzione, ma i responsabili del servizio, a cui compete per legge il controllo, non hanno compreso il danno che viene fatto ai minori per la discriminazione di genere del servizio sociale da loro dipendente e pagato.

I legali non vogliono mettere in discussione nemmeno l’operato dei giudici, l’uso diffuso delle sentenze fotocopia, la disparità di trattamento tra madre e padre. Così arrivano a scoraggiare il proprio cliente quando chiede di volere un affido paritetico dei figli, asserendo che, ad Aosta, non è accettata una siffatta richiesta per la contrarietà dei giudici. La verità è che il legale, per pretendere un affido paritetico, come avviene in alcuni tribunali italiani, dovrebbe mettersi in contrasto con il giudice e andare contro il collega che difende la madre. Contrastare il giudice vorrebbe dire tutelare le esigenze dei minori, ma anche esporsi con i giudici davanti ai quali hanno tanti processi.

Lo stesso legale non informa seriamente il proprio assistito sia con la sottoscrizione di un contratto per le spese legali, come legge vuole, sia sui suoi diritti genitoriali. Il genitore separato si affida all’avvocato, credendo di essere seguito da un esperto del diritto, mentre, la tutela dei minori non è sempre al primo posto tra le preoccupazioni e/o sensibilità del professionista. Il legale di controparte, pure, non cerca mai di prospettare alla propria assistita la possibilità di un affido paritetico poiché, questo comporta svantaggi economici per la sua assistita (facendo sorgere il dubbio della sua “bravura”, a cui si collega anche la parcella pretesa), poiché introduce, anche, il principio del mantenimento diretto dei figli, secondo cui ambedue i genitori devono provvedere al mantenimento della prole. Scomparendo l’assegno a carico di un solo genitore, l’altro, ci specula e, talvolta, anche tanto, sulla collocazione prevalente dei figli presso la madre, il 94% dei casi, per mantenersi privilegi non dovuti. Difendendo la madre, si vince sempre, cioè si guadagna anche tanto.

Il resto sono quisquiglie, compresi il superiore interesse dei minori.

I legali non mettono in primo piano il benessere dei minori, come contrariamente vorrebbero far credere, e non fanno nulla per eliminare la maggior parte dei motivi che creano o alimentano la conflittualità genitoriale, a scapito dei minori, che si trovano ad essere ostaggi di interessi economici che nulla hanno a che vedere con il loro benessere psico-fisico.

I legali potrebbero eliminare o, comunque, contenere, se lo volessero, il malessere dei minori, foriero di pericolose devianze esistenziali, che segnano definitivamente la loro vita e la società in cui vivono.

Si chiede ai vari ordini degli avvocati di aprire una riflessione e un dibattito franco sulle loro responsabilità deontologiche nella mancata tutela dei minori e del genitore che, per assurda prassi, viene quasi sempre discriminato. Gli abusi sui diritti dei cittadini non ancora maggiorenni e del loro genitore, estromesso dalla loro vita, avvengono, purtroppo, anche per il comportamento dei legali, finalizzato, troppo spesso, alla sola parcella.

 

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