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DIVORZIO BREVE

“La volta buona” ... con tanta ipocrisia!

 

avv. s. Francesco Valentini


La camera dei deputati ha licenziato con 298 voti favorevoli, 28 contrari e 6 astenuti la modifica della legge sul divorzio n. 898 del 1970. Questo il testo approvato:

“Art. 1. 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell'articolo 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».

Art. 2.  1. All'articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione ».

Art. 3.  1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data”.

 

Cambiano le regole per divorziare (valide anche per le separazioni pendenti) in merito ai tempi – che vanno dai 6 ai 12 mesi - e allo scioglimento della comunione dei beni con effetto immediato dalla sottoscrizione del verbale di separazione dinnanzi al presidente del tribunale.

E’ una legge che era attesa da tanti anni ma che poteva essere più completa poiché aspettare sei mesi per divorziare non ha alcun senso, soprattutto quando il divorzio è consensuale, poiché questo lasso di tempo è funzionale solo alle varie lobby che speculano sulle separazioni. Il divorzio deve essere immediato sia quando è congiunto che quando è giudiziale.

La doppia lettura della fine del matrimonio, con separazione e divorzio, è anacronistica poiché quando due persone arrivano allo scioglimento del matrimonio lo fanno a ragion veduta e a nulla servono le pause di riflessione. I divieti confessionali ed ideologici non hanno alcuna ragione di esistere in una società moderna e liberale poiché non si può chiedere al legislatore di porre in essere vincoli per “imporre” una unione che non esiste più.

Si invoca la pausa tra separazione e divorzio come una questione di moralità di riflessione sull’atto compiuto con la separazione senza considerare che la legge non può andare contro la coscienza delle persone e che non può sostituirsi alla mancanza di una eventuale cultura “unionistica” della coppia; nemmeno si può pensare che coloro che si separano = divorziano lo facciano con superficialità ed inconsapevolezza. Un  presupposto, questo, assai rischioso per le possibili conseguenze in tutti i campi sociali.

C’è da chiedersi cosa cambierà, in sei mesi o un anno,  tra separazione e divorzio: nulla poiché il giudice, in caso di giudiziale, riconfermerà le condizioni della separazione e, in caso di consensuale, i ripensamenti non avverranno in sei mesi. Quindi solo costi economici aggiuntivi ed inasprimento della conflittualità in atto.

Il diritto di famiglia deve essere rivisto in modo radicale e i provvedimenti tampone servono solo per porre termine a certe contraddizioni della legge in vigore.

La maggioranza dei figli delle coppie coniugate e di fatto hanno genitori che non vivono più nella stessa casa coniugale e la fine della convivenza, nella stragrande maggioranza, avviene in modo conflittuale: i provvedimenti dei tribunali spesso sono discriminatori tra padre e madre, negando di fatto le pari opportunità genitoriali - la cosiddetta bigenitorialità - con il conseguente incremento della conflittualità ad esclusivo danno dei minori coinvolti che si vedono privati della insostituibile figura di un genitore.

Che senso ha parlare di divorzio breve - quando lo stesso dovrebbe essere immediato, con conseguente riduzione dei costi economici ed umani - se non si affronta il tema dell’affido

condiviso (che di fatto la maggior parte dei tribunali ignora), se non si concede l’affido condiviso alternato, se non si prendono drastici provvedimenti nei confronti del genitore collocatario che estromette l’altro senza tanti scrupoli ed arrecando danni irreversibili nei figli, se si considera la Pas come una tesi assurda, se si affidano ai servizi sociali le decisioni sui minori - da tutti ritenuti inadeguati se non dannosi -, se non si predispone un Protocollo d’intesa nazionale o almeno regionale che regoli tutta la delicata materia delle separazioni e dei divorzi conflittuali, rispettando le reali situazioni dei minori e dei genitori sia nelle modalità di visita che nella equa determinazione degli assegni di mantenimento!

Oggi le pari opportunità genitoriali continuano a non esistere e il genitore non collocatario viene sempre più marginalizzato se non addirittura continua ad essere estromesso dalla vita dei figli. I tribunali delegano la gestione dei figli e la conflittualità dei genitori ai servizi sociali, i quali, vuoi per la mole di lavoro a cui devono assolvere vuoi per una presunzione professionale finiscono per formulare relazioni inattendibili. Nessuno, inoltre, monitorizza la loro professionalità e, come ha ribadito Strasburgo, i giudici devono sentire direttamente i minori e i genitori e decidere di conseguenza senza deleghe in bianco.

E’ intollerabile il comportamento di certi tribunali civili e quelli dei minori che operano senza minimamente tener conto nemmeno delle conclusioni delle stesse Ctu da loro richieste. Abbiamo casi in cui ai minori – che supplicano la presenza anche dell’altro genitore – non venga dato alcun ascolto. Questi tribunali arrivano ad emettere provvedimenti – sempre provvisori perché così non reclamabili e non producibili a Strasburgo - che penalizzano, con incontri protetti, proprio il genitore che reclama i diritti dei figli.

Il “divorzio breve”, pertanto, non costituisce una vittoria, ignorando quanto sopra parzialmente enunciato, e nemmeno può essere considerato una vera riforma. E’ solo l’espressione di una radicata ipocrisia per fini propagandistici, che porta i legislatori a nascondere la testa sotto la sabbia e a non vergognarsi di approvare provvedimenti che, invece, dovevano essere presi, senza clamore, da tanti anni. E’ – tutto ciò - una ulteriore conferma del dilagante disinteresse verso i veri problemi dei minori ancora una volta non tutelati dalla politica e dalle istituzioni giudiziarie.

Il “divorzio breve” è una vittoria, sì, ma di Pirro!

 

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