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Centri estivi sì, ma dopo le ferie con i genitori


Con la sospensione dell’attività scolastica, nel periodo estivo si pone, puntualmente, il problema del sostegno alle famiglie impegnate nelle attività lavorative, soprattutto quando i genitori non possono contare sull’aiuto dei nonni o di altri familiari. I centri estivi sono la soluzione più gettonata perché è una attività a carattere educativo, ludico-aggregativo, rivolta ai minori dai 3 ai 14 anni e, in alcuni centri, protratta anche fino a 17 e sono gestiti dagli enti locali, dalle c.d. cooperative sociali, emanazione, sovente, della politica, dalle parrocchie e, in alcuni casi, dalle stesse scuole, con la collaborazione dei genitori. La durata del singolo ciclo è di due settimane, esclusa la domenica; il periodo va dalla chiusura della scuola fino all’inizio di agosto e i costi, compreso il pranzo, variano da gestore a gestore e l’ente pubblico chiede l’Isee per calcolare la retta da pagare all’atto dell’iscrizione al centro. In alcuni casi di criticità economica della famiglia, con sempre maggior frequenza, l’ente locale crea uno specifico fondo per pagare la quota di iscrizione, in parte o totalmente, e, se uno si assenta per più giorni consecutivi, gli organizzatori rimborsano, in proporzione, i giorni di assenza.

Questa risorsa socio-educativa, perché tale è se gestita con professionalità da animatori competenti e con il reale controllo dell’ente organizzatore, integra la socializzazione dei minori, ampliando la sfera delle loro relazioni amicali e permette loro di stare a contatto con l’ambiente e svolgere attività ludico-culturali che difficilmente troverebbero spazio nella programmazione scolastica annuale.

 

Certo, le offerte socio-educative dei centri estivi, organizzati secondo principi socio-pedagogici, possono essere di gran lunga superiori a quelle che i familiari possono offrire ai minori con la frequentazione dei giardini pubblici, delle piscine o centri sportivi, dove la programmazione è frammentaria e non sempre è parte integrante della formazione del minore. Gli animatori dei centri estivi sono preparati, quasi sempre, in modo sommario e sbrigativo al ruolo che vanno a svolgere e una preparazione, anche se poco approfondita, eccezion fatta per chi assiste, nei centri estivi, minori portatori di handicap, è sempre migliore di quella inesistente.

Le difficoltà emergono sui costi da sostenere, poiché il genitore collocatario pretende, quasi sempre, che le rette dei centri estivi rientrino tra le spese straordinarie e, di conseguenza, vengano ripartite al 50%. Tutto ciò non ha alcun fondamento, perché la logica giuridica dell’assegno di mantenimento e delle spese straordinarie, stabilità dal codice, dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, è ben diversa da quella contemplata in alcuni protocolli fuorilegge o, meglio, contra legem, che i tribunali, arbitrariamente, impongono nell’affido dei minori.

La collocazione prevalente dei figli presso un genitore, abitualmente, viene concessa su diretta richiesta di quel genitore, il quale, però, vuole usufruire dei benefici che tale collocazione riserva al genitore collocatario, oltre all’assegno di mantenimento, ma, al contempo, pretende che l’altro genitore paghi il 50% dei centri estivi che i minori frequentano, ignorando, volutamente, che anche il non collocatario dovrebbe essere obbligato a spendere per i figli una cifra pari a quella dell’assegno di mantenimento che, comunque, copre le spese ordinarie, come sono appunto le iscrizioni ai centri estivi, che sono prevedibili, ma non costituiscono fatti eccezionali, come recita il codice civile. I centri estivi, pertanto, sono pagati dal genitore, collocatario o no, che personalmente li richiede per quando i figli sono con lui durante le ferie estive.

Elemento di discordia è l’iscrizione dei figli a questi centri anche nel periodo che gli stessi sono con l’altro genitore (ferie estive o visite e permanenze infrasettimanali durante l’estate), fatta dal collocatario, spesso senza minimamente preoccuparsi del consenso dell’altro genitore, ma che poi pretende che sia lui ad accompagnarli ai centri estivi quando sono con lui, obbligandolo, di fatto, a rinnegare la programmazione già fatta, con reciproca approvazione, generalmente alla fine di maggio (o del diverso termine previsto dal provvedimento giudiziale), e di rinunciare a stare con i figli nel suo tempo di ferie. Questa pretesa, nonostante le strumentali farneticanti giustificazioni di mestieranti di psicologia e di comportamenti sociali, non trova spazio nel diritto e nella giurisprudenza, poiché i figli, durante i tempi previsti per stare con l’altro genitore, non possono essere dirottati su falsi obiettivi, come possono essere tutto ciò che non privilegia il rapporto diretto padre-figli (il 94% di loro sono collocati presso la madre). Se controparte vuole imporre i suoi diktat, non resta che rivolgersi alle istituzioni preposte al rispetto della legge (preferibilmente in sede civile, visto che, spesso, hanno la competenza esclusiva su ciò e sono più veloci nel tutelare questi diritti) e del diritto dei minori e di ambedue i genitori alla bigenitorialità e cogenitorialità.

Centri estivi sì, ma senza danneggiare i diritti dei figli e del genitore meno presente nella loro vita e senza favorire il business che circonda questa attività per garantire un contributo economico a nulla facenti e studenti fuori corso che si improvvisano educatori. I figli di genitori non più conviventi hanno bisogno di educatori professionali, preparati, ma non improvvisati, che tali restano anche se frequentano predisposti corsi farsa.

Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps), 347.6504095

 

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